Conversazione con Cabiria Lizzi
1. Il blog di Cattive è uno spazio che abbiamo deciso di dedicare all'approfondimento dei cortometraggi nel nostro catalogo di distribuzione. Il tuo, fra tutti, è forse quello più surrealista. Mi piacerebbe sapere di più del tuo background artistico. Raccontaci anche quali sono state le tue ispirazioni.
Fin da bambina ho avuto la possibilità di vivere l’arte contemporanea in prima persona, aggirarmi tra mostre, quadri, gallerie, performance e spettacoli grazie a mia madre, critica e curatrice di eventi artistici. Ho esplorato molto anche il mondo della danza, prima a livello didattico e poi coreografico-performativo. Ho studiato al Liceo artistico di Udine iniziando dal disegno iperrealista per poi conoscere lo sconfinato universo della fotografia…ma sentivo che quella fissità nascondeva qualcosa di potente. Così ho scoperto il video, la video arte e finalmente il cinema! Ho cominciato dal montaggio che mi ha fatto scoprire la possibilità di scomporre, cucire e riscrivere una storia. A quel punto mi sono chiesta: e perché non provare a portare questo processo di scrittura alla fase precedente, a quella della nascita embrionale di un’idea registica? Credo che il surrealismo derivi semplicemente dall’unico modo con cui so guardare il mondo, o meglio, il modo con cui mi diverto di più a guardarlo. Amo osservare la realtà, ogni piccolo scambio dialogico, ogni situazione o relazione quotidiana tra persone, e da questa realtà estrarre quel seme di magia, di surrealtà, di fantastico che invade l’ordinario e richiede solo un po’ d’attenzione e sguardo aperto per manifestarsi.
2. Come nasce invece l'idea del cortometraggio?
Era una domenica d’inverno, buia e nebbiosa, rientravo dal mare verso le mie terre montuose del Friuli Venezia Giulia. Mi sono imbattuta in un’immagine folgorante: immerso in un paesaggio quasi distopico appariva una distributore di benzina illuminato da una fortissima luce al neon che flickerava svelandolo a tratti nel buio pesto della notte.
Mi si è acceso qualcosa dentro e ho capito di voler raccontare un’immagine così: intermittente, misteriosa, tanto affascinante quanto repellente nel suo svelarsi e nascondersi alla vista.
A questa prima suggestione, solo visiva, si è poi aggiunta la necessità interiore di raccontare quell’indefinibile sensazione di “boh”, di apatia, di malessere che sembra non avere sorgenti oggettive. Una necessità derivata dall’osservazione di un malessere diffuso che infligge i miei coetanei, ma destabilizza tutte le età; una solitudine che non è solitudine, una depressione che non è depressione, un’interferenza alla felicità che è ineffabile e specchio del mondo incerto in cui viviamo: tutto sembra possibile e nulla realizzabile. Petro è un insieme di debolezze umane che ho osservato nella ragazza che si affaccia alla vita adulta così come nel sessantenne che ha perso le coordinate.
3. Guardando il film, ho avuto come la sensazione di dovermi affidare al flow. È stato un po' come dovermi abbandonare a un percorso guidato, da te in questo caso, fatto di immagini, voci, personaggi, senza per forza farmi troppe domande. Dopo l'idea, viene la scrittura. Sono molto curioso di sapere com'è andato il processo di scrittura del film. È stato lineare?
Esattamente, lo scopo del corto è quello di portare lo spettatore in un’atmosfera rarefatta, onirica, irrazionale, più che all’interno di una storia nel suo senso più classico.
L’ossatura del corto era abbastanza stabile fin da subito, ma la scrittura è stata un processo di scavo psicologico molto istintivo e in continuo mutamento. Molti elementi di PetroL. sono stati una scoperta anche per me…alcuni dei significati che stanno dietro agli strati interpretativi li ho metabolizzati e compresi solo a lavoro concluso.
La prima stesura era molto diversa e più lunga di quella finale. C’era più razionalità, era maggiormente strutturata, ma poi ho capito che per raccontare quel “flow” di cui parli dovevo togliere un po’ di cerebro e metterci la pancia. È tutto un grande esperimento, a partire dalla scrittura, non volevo avesse una struttura troppo definita, ma che fosse più la metafora dei meccanismi inspiegabili e irrazionali della mente del protagonista. Volevo che anche il modo di raccontare fosse una sorta di viaggio, un patto con lo spettatore per entrare in una condizione di sospensione dal mondo terreno in favore di quello mentale.
4. Penso che il buio sia un elemento di questo corto, quasi un altro personaggio. Il buio circonda il protagonista, le scene. Sicuramente aiuta la costruzione di un'atmosfera. Qual è il valore che hai dato a questo elemento?
Apprezzo molto questa tua osservazione perché il buio e il suo rapporto con la luce sono stati gli elementi cardine per la costruzione dell’intera narrazione. Il buio è assolutamente il legante dei personaggi e la matrice dell’atmosfera. Ad aiutarmi nella costruzione di tale atmosfera è stato proprio il fatto d’immaginare il protagonista come fosse una sorta di falena che brancola nell’oscurità della propria mente, in cerca di uno spiraglio, una piccola lucina che gli indichi la strada.
Sul finale la lucina arriva ed è una scintilla che potenzialmente potrebbe far divampare un violento incendio e invece conduce Petro verso le prime luci dell’alba.
Per avvallare la tua tesi, se dovessi descrivere il corto in una frase direi che è “un viaggio nella mente buia di un uomo in cerca di luce”.
5. PetroL. ha una stratificazione di significati veramente importante, ma la scritta sul cartone del clochard ho pensato potesse in qualche modo sintetizzarli tutti: "volevo vivere altrove e sono capitato per terra". Un po' fatalista, forse. Per questo ti volevo chiedere: ho avuto come la sensazione che i tuoi personaggi non possano scegliere, che siano dentro un sistema di cose che decide per loro. Dov'è il libero arbitrio, la possibilità di scegliere, per te, per i personaggi di questa storia?
Credo che la frase sul cartone del clochard sia proprio un ottimo sunto di ciò che mostrano situazioni e personaggi del corto. Volevo parlare anche di libero arbitrio, di impotenza rispetto a certe condizioni che volenti o nolenti ci schiacciano e costringono. Osservo spesso ambienti sociali, situazioni economiche, imposizioni mentali che tarpano le ali a persone impotenti che spesso non si concedono nemmeno la possibilità di provare a cambiare lo stato delle cose. Penso che talvolta la possibilità di scegliere sia un mero privilegio, soffocato da imposizioni che spesso non dipendono da noi, ma sono frutto di tante storture sociali che ci portano all’illusione del libero arbitrio...
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